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Avatar di Mattia Lusetti

Romanzo decisivo, sicuramente. Nel post però si passa accanto, si riduce, si relativizza uno dei punti centrali di questo romanzo e della vita stessa di questo gigantesco scrittore. Ovvero la fede intesa come fede religiosa. É normale, perché se per uno questo non è un aspetto centrale della vita è difficile coglierlo in tutta la sua profondità intellettuale dal di fuori. Si vede molto bene dal fatto che il ruolo centrale della fede viene scisso in due aspetti. Il primo, quello intellettualmente carico di profondità e di e di articolazione, viene ridotto ad un vago riferimento ai valori: però è come interpretare la fede religiosa alla luce di Nietzsche, che sicuramente non ne sapeva nulla, nel senso proprio in cui ne rifiutava e ne ha sempre rifiutato l’esperienza. Ciò che è o meglio si manifesta come inaccettabile per il protagonista del suo atto è il fatto che c’è un ancoramento ad una trascendenza, che è quella di Dio nella coscienza, che è insuperabile e inevitabile. È lo stesso tema che troviamo nella confessione di Stavrogin allo stareč al termine dei demoni e questo è uno dei due aspetti che viene appunto disinnescato in questo riferimento ai valori, molto vago e direi insufficiente. Alla conclusione del post si riconosce un valore interpretativo esplicito alla fede religiosa ma intesa come un’immediatezza in un certo senso a-intellettuale che è quella della fede di Sonia. È un elemento valido, quello dell’ingenuità, é la primitività di cui parla Kierkegaard, il voler sapere cosa significa una cosa per me e non come inserirla in un insieme di ragioni. Dunque aspetto valido, ma che va assolutamente considerato assieme all’altro perché raggiunga la sua piena profondità.

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